Dall’epilogo tragico, sconvolgente, che ha rivelato i misteri intorno a Sarah Scazzi, si apre il dramma familiare, che reclamerebbe un po’ di silenzio. Non scriverò molto. Rimarco solo quanto sia decisiva, nella ricostruzione dei fatti, la figura di Mariangela Spagnoletti, l’amica automunita che avrebbe dovuto portare a mare Sarbina e Sarah.
Ieri ero intervenuto con alcune considerazioni sulla vicenda, raccontata da Giglioli, relativa alla cancellazione dei post del Blog “Sul romanzo”. Ora intervengo nuovamente con altre considerazioni.
Anticipando parte delle conclusioni, posso dire che a mio avviso il problema non risiede tanto nella cancellazione dei post asseritamente diffamatori disposta in fase di indagine, ma nell’eventuale difetto di una loro previa acquisizione da parte della Procura, con i crismi della computer forensics, acquisizione che, anche in caso di cancellazione, sarebbe in grado di garantire:
a) la conservazione del corpo del reato (o della cosa pertinente al reato), anche ai fini probatori in sede dibattimentale, ove non si giungesse all’archiviazione;
b) i diritti di difesa dell’indagato, chiamato a rivestire il ruolo di imputato ove si andasse in dibattimento;
c) il ripristino dei file nel caso in cui venissero meno le esigenze preventive e cautelari che hanno indotto alla cancellazione, con restituzione dei file ma previamente acquisiti in copia, consentendo l’esercizio del diritto fondamentale alla libertà di espressione legittimamente compresso in sede di indagine a fronte delle valutazioni in ordine al fumus commissi delicti, ad esempio qualora le valutazioni definitive nel merito portino ad accertare l’insussistenza del reato ipotizzato.
Un articolo di Alessandro Giglioli, dal titolo “Se sui blog arriva la censura di Polizia“, prende in buona fede una discutibile posizione sul tema dei poteri di intervento da parte del P.M. e/o della Polizia Giudiziaria in sede di indagine, nel caso in cui si proceda per l’ipotesi di reato prevista e punita dall’art. 595 c.p.: la diffamazione.
Giglioli segnala un caso molto interessante, portando all’attenzione della blogosfera il caso del blog “Sul romanzo”, illustrato da Morgan Palmas nel suo post “Esistono azioni fasciste online?“.
Giglioli, riprendendo la tesi di Palmas,riassume così la fattispecie:
Qualche tempo fa il blog di letteratura Sul Romanzo pubblicò un’intervista a un’ex studentessa dell’università di Sassari, Antonietta Pinna, la quale sosteneva che la sua tesi di laurea era stata saccheggiata da una sua docente, che l’avrebbe utilizzata per un suo libro senza citare neppure la fonte.
Anche L’espresso on line riprese la vicenda, ripubblicando l’intervista e quindi ospitando la successiva replica della docente chiamata in causa.
La cosa sembrava finita lì, invece l’altro giorno Morgan Palmas, il titolare di Sul Romanzo, ha ricevuto una notifica da parte di Google (il suo sito si appoggia a Blogger), nella quale si spiega che la Polizia di Stato ha chiesto a Google di cancellare due articoli in merito («per accertamenti») in quanto vi sarebbe un reato di diffamazione ai sensi dell’articolo 595 del codice penale.
Google si è immediatamente adeguata e gli articoli del 26 febbraio e del 3 marzo sono stati quindi eliminati d’imperio dal sito senza che il titolare del blog potesse farci nulla ma soprattutto senza che il reato di diffamazione fosse discusso ed eventualmente provato in un’aula di tribunale. Uno è poi riapparso mentre l’altro è rimasto oscurato.
Poi fa queste considerazioni, che riporto per intero al fine di evitare involotarie distorsioni:
Ho chiesto un parere in merito all’amico giurista Guido Scorza. Ecco quello che mi ha risposto:
«Il provvedimento – credo raro, se non unico nel suo genere – è a mio avviso illegittimo. Un PM, evidentemente, non può da un lato ordinare l’acquisizione di elementi di prova utili a verificare se via stata una diffamazione e, contemporaneamente, ordinare la “cancellazione” degli articoli asseritamente diffamatori dei quali ha domandato l’acquisizione proprio allo scopo di verificare se SONO O MENO diffamatori».
Chiaro no? Prima si censura, poi si decide se andava censurato.
E’ una schifezza, che ovviamente non si può tecnicamente applicare ai giornali cartacei ma viene usata tranquillamente sul Web, con la complicità dei fornitori di servizi.
E questo post è rivolto anche ai molti amici e conoscenti che ho a Google: davvero, ragazzi, non avevate alcuna alternativa a sdraiarvi come zerbini alla prima lettera, anziché aspettare una sentenza di merito, almeno di primo grado?
I punti che entrano in gioco sono diversi.
La conclusione, con gli interrogativi, è in fin dei conti perfettamente condivisibile. Suona come una critica rivolta a chi si affida a piattaforme di blogging, come “blogger.com”, di Google, ma, in fin dei conti, anche come “wordpress.com” o altre. Se si dipende da un provider per usare il proprio blog, il rischio è che il provider, anche su sollecitazione di terzi (non necessariamente della procura), potrebbe decidere unilateralmente di rimuovare alcuni post o di renderli inaccessibili, sacrificando il diritto fondamentale tutelato all’art. 21 Cost. (libertà di manifestazione del pensiero con qualunque mezzo, incluso quello telematico).
Tuttavia, va osservato che l’intervento di Google non è del tutto arbitrario. Anzi, è un intervento che risponde ad un invito che sembra provenire dall’autorità giudiziaria.
Ecco il testo della comunicazione con cui Google avvisa il blogger della rimozione dei due post su cui si sta indagando per il reato di diffamazione secondo la ricostruzione di Morgan Palmas:
“Blogger – Complaint Received” (14 settembre 2010)
“Hello,We’d like to inform you that we’ve received a court order regarding your blog http://sulromanzo@gmail.com. In accordance with the terms of the court order, we’ve been forced to remove the following posts:http://sulromanzo.blogspot.com/2010/02/malauniversità-baroni-e-furbizie.htmlhttp://sulromanzo.blogspot.com/2010/03/maria-antonietta-pinna-turrini-brizzi.htmlA copy of the court order we received is attached.Thank you for your understanding.Sincerely,The Blogger Team”E in allegato un documento ufficiale della Polizia di Stato (Compartimento dell’Emilia Romagna, sezione di Ferrara), nel quale l’oggetto è una richiesta di accertamenti. Per indagini in corso la Polizia di Stato chiede a Google di cancellare due post (26 febbraio 2010 e 3 marzo 2010) perché v’è un reato di cui all’art. 595 del Codice Penale per diffamazione con pubblicazione di articoli postati sul sito internet www.sulromanzo.blogspot.com.
L’allegato, riportato da Giglioli in partura del suo post, è praticamente illegibile.
Con sforzo si legge qualcosa. Sono individuabili, ad esempio, oltre al’intestazione ed ai destinatari:
a) le parole di apertura: “Per indagini di P.G.”;
b) le parole a cavallo tra la prima e la seconda riga: “File LOG”;
c) quelle disposte tra la seconda e la terza riga: “Procura della Repubblica del Tribunale di Ferrara in data …”;
d) parte dell’indirizzo e-mail, forse quello fornito per eventuali chiarimenti o per fornire i riscontri (si legge “…@poliziadistato.it”).
Non si legge l’indirizzo del blog, né quello dei due post “incriminati”, ma neanche la data e la firma della missiva, il che lascia presumere che la riproduzione del provvedimento sia solo parziale e c’è dunque dell’altro.
Dalla trascrizione che Giglioli fa delle riflessioni del collega Guido Scorza, che probabilmente ha avuto in visione il provvedimento in forma leggibile e forse per intero, sembrerebbe evincersi che vi sarebbe stato da parte del P.M., contestualmente:
a) un ordine di acquisizione di elementi di prova utili a verificare se via stata una diffamazione (ed in questo caso pertinenti sarebbero i riferimenti ai LOG-FILE);
b) un ordine di acquisizione dgli articoli asseritamente diffamatori;
c) un ordine di “cancellazione” degli articoli asseritamente diffamatori.
Sulla base di tali elementi, non vedo quale sia l’anomalia. La procura ha disposto probabilmente un sequestro, probatorio o conservativo, e ha chiesto al provider di adottare i necessari provvedimenti, come del resto prevede la disciplina sul commercio elettronico, il d.lgs. 70/2003, spesso invocata per affermare l’asserita irresponsabilità dei providers.
L’art. 17 del d.lgs. 70/2003, ruricato “Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza”, dopo aver chiarito che il provider
non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite
precisa, che questi è comunque tenuto non solo
ad informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione;
ma anche
a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite.
Peraltro, senza scomodare la disciplina sul commercio elettronico, la Procura della Repubblica o direttamente la P.G. ha chiesto l’acquisizione di informazioni ed elementi probatori (Log File) e nel contempo ha (probabilmente) disposto un sequestro, che va eseguito, in linea generale, acquisendo la res e rendendola indisponibile agli interessati ed ai terzi.
Concordo con le osservazioni rese dal collega Francesco Paolo Micozzi in un commento prontamente lasciato in calce al post di Giglioli, anche se delle tre possibilità che il medesimo prospetta non me la sento di escluderne a priori alcuna. Micozzi precisa che:
Purtroppo non si vede chiaramente il provvedimento di cui si parla però ritengo che non sia un atto particolarmente “strano”.
Le ipotesi sono:
1) il PM non è ancora intervenuto e la PG agisce di propria iniziativa. In questo caso si applica l’art. 55 del c.p.p. nella parte in cui si dice che “la polizia giudiziaria DEVE … impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori”. Evidentemente la polizia giudiziaria ha ritenuto che – per impedire che il reato venisse portato ad ulteriori conseguenze – la pagina “incriminata” (per la quale ritengo si proceda per diffamazione aggravata) dovesse essere rimossa.2) il PM è intervenuto ed ha delegato alla PG di sottoporre a sequestro probatorio il sito in questione
3) il PM è intervenuto, ha richiesto un sequestro preventivo al GIP che ne ha disposto l’esecuzione mediante la PG.
Escluderei le ipotesi 2 e 3 perché così mi pare di capire dall’articolo.
Ma nella prima ipotesi trova applicazione l’art. 354 c.p.p. secondo cui “in relazione ai dati o ai sistemi informatici o telematici gli ufficiali di polizia giudiziaria adottano le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso”… e provvedono alla “immediata duplicazione su adeguati supporti mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità”.
Probabilmente la PG ha richiesto a BigG (o meglio ha impartito le prescrizioni necessarie) di assicurarne la conservazione ed impedirne l’accesso.Non è assolutamente detto, quindi, che un blog messo offline non sia ripristinabile o ne sia andato definitivamente perso il contenuto.
A questo punto, se vi è stata attività di iniziativa della PG, sarà il PM a dover convalidare o meno questo “sequestro” entro 48 ore (art. 355 cpp). Se si ha la convalida… solo contro quest’ultimo provvedimento del PM potrà proporsi riesame entro 10 giorni.
Ricordo, infatti, che l’art. 354 c.p.c., dopo la novellazione avvenuta con la famosa legge n. 48/2008 di recepimento della Convenzione di Budapest sul cybercrime, prevede ora quanto segue:
Art. 354.
Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro.
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria adottano, altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso e provvedono, ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.
3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale.
Si noterà, nella dizione dell’art. 354 c.p.p. dianzi trascritto, che le operazioni di accertamento eseguite dalla P.G. sono finalizzate, in ambito informatico, non solo alla acquisizione degli elementi su cui verte l’accertamento e alla loro conservazione, ma anche a rendere tali elementi inaccessibili (“impedirne … l’accesso”), fino a sequestrare la res, quale corpo del reato o comunque cosa pertinente al reato per cui si procede.
Trattandosi di attività in fase di indagine preliminare, è normale che non si aspetti l’accertamento definitivo in ordine alla sussisntenza o meno del reato. E’ tipico del nostro sistema penale che il provvedimento avvenga prima dell’accertamento sull’effettiva esistenza del reato.
Sono atti disposti nel corso dell’indagine sulla base del fumus criminis (ossia su un giudizio probabilistico sulla verosimile sussistenza del reato), per i quali sono pur sempre previsti, nel nostro ordinamento giuridico, strumenti di opposizione o di impugnazione. Si pensi ad esempio alla richiesta di riesame contro i provvedimenti di sequestro.
Non vedo come possa trattarsi di censura o, per usare le parole riportate nei post citati, di “schifezze”.
Fabio Bravo
Information Society & ICT Law
La videointervista al direttore editoriale de “il Giornale”, Vittorio Feltri, sopra riportata, è in risposta a quanto avvenuto sul caso Marcegaglia-il Giornale.
La notizia ha qualcosa di incredibile. La Procura della Repubblica di Napoli si è mossa con tanto di consulenti tecnici informatici per l’esecuzione di un decreto di perquisizione e sequestro a carico del direttore responsabile (Sallusti) e del vicedirettore (Porro) del quotidiano “il Giornale” a seguito di alcune intercettazioni telefoniche che, a parere della Procura, evidenzierebbero gli estremi della violenza privata (art. 610 c.p.) là dove sarebbe stata minacciata la pubblicazione di uno o più articoli diretti a colpire l’immagine della Marcegaglia attraverso una campagna stampa aggressiva, per via delle dichiarazioni che in più occasioni avrebbe reso in qualità di Presidente di Confindustria contro l’azione di Governo (es. 1 – 2).
Il resoconto scritto nell’articolo redazionale del Corriere della Sera, dal titolo “Minacce alla Mercegaglia, persuisita la sede del quotidiano il Giornale“, illustra bene i particolari. Consiglio di leggerlo con molta attenzione, per chi volesse capire bene cosa sta accadendo.
Secondo le esternazioni del procuratore Lepore, riportate dagli organi di stampa,
«le perquisizioni sono tese a cercare il dossier che si brandiva contro Marcegaglia: sono state svolte nel massimo rispetto delle regole, abbiamo inviato anche due tecnici informatici per evitare involontarie alterazioni dei dati per non rovinare i computer: il reato ipotizzato è violenza privata»
Si tratta, ovviamente, di operazioni di computer forensics.
La delicatezza della questione impone di prendere in considerazione le opposte posizioni, ma anche un problema che trascende queste ultime e riguarda il delicato equilibrio degli assetti democratici del nostro Paese in un momento politico ed istituzionale – quello attuale – decisamente critico per la storia dell’Italia: gli equilibri tra poteri, il ruolo delle istituzioni e della stampa, la magistratura, il giornalismo, gli industriali e la politica.
Sarah Scazzi aveva trascorso i giorni dal 23 al 25 agosto a San Pancrazio. Continua a leggere
Sul caso di Sarah Scazzi mi ero intrattenuto per le connessioni che la fattispecie presenta con le nuove tecnologie, sia sotto il profilo investigativo, sia sotto il profilo dei rischi connessi all’uso dei social network nel mondo giovanile, sia con riferimento alla privacy e al controllo sociale.
Ora che è stato trovato il cellulare della ragazza scomparsa, si aprono nuovi scenari dal punto di vista investigativo.
Rimane però aperto un interrogativo, al quale, dopo il clamore mediatico connesso alle nuove possibilità offerte dalle tecnologie satellitari, non è stata data ancora una risposta: cosa emerge dalle rilevazioni satellitari militari che il Ministro della Difesa ha reso disponibili?
In casi come quello di Sarah Scazzi, e purtroppo ce ne sono molti, l’uso di ogni strumento tecnologico utile al ritrovamento è d’obbligo. Comprensibili dunque le richieste, caldeggiate dall’associazione Penelope, per la verifica delle rilevazioni satellitari militari nella zona che la quindicenne scomparsa avrebbe percorso prima di scomparire nel nulla.
Sulla vicenda consiglio di leggere due recenti articoli che mi hanno colpito.
Il primo è di Cristina Bassi, per Panorama. Intervista Elisa Pozza Tasca, Presidente dell’associazione Penelope (associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse). In tale articolo vengono diffuse informazioni di interesse generale e di contenuto tenico, dalle Linee Guida per favorire la ricerca di persone scomparse all’attività del Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse ed a quella del RI.SC., il sistema informatico per il ritrovamento delle persone scomparse.
Si parla anche della richiesta di accedere ai risultati delle rilevazioni effettuate con il sistema satellitare militare:
Presidente, crede che le persone e i mezzi impegnati nelle ricerche di Sarah siano inadeguati?
A mio parere la madre di Sarah non ha motivo di lamentarsi, ho visto un notevole impiego di forze: uomini, cani, elicotteri. Piuttosto il mio primo consiglio ai familiari della ragazza è quello di dire agli inquirenti tutto quello che sanno e al più presto. Spesso in questi casi accade invece che i parenti diano informazioni “a rate”, non facilitando le indagini. Forse però si poteva pensare prima all’utilizzo del sistema satellitare, che potrebbe mostrare con chi è salita in auto Sarah, la targa e il modello della macchina. Ora comunque abbiamo richiesto il ricorso al sistema satellitare militare e il ministro La Russa ha dato il via libera.
Ed ancora:
Come funziona questo sistema?
Nelle ricerche di Sarah verranno impiegati sia il sistema civile sia il militare. Quest’ultimo è molto sofisticato, viene utilizzato a scopi importanti come la sicurezza e contro il terrorismo, i risultati sono secretati. Il satellite “fotografa” quello che succede nell’area monitorata: nella zona di Avetrana c’è una base Nato e quindi contiamo sul fatto che il satellite fosse attivo nei giorni della scomparsa e che le immagini siano state conservate. Potrebbero aiutare molto il magistrato, che coordina le indagini ed è il solo che le può visionare. La famiglia e le associazioni come la nostra non hanno accesso a certe informazioni, ma l’importante è che le indagini procedano.
Sarei davvero felice se si riuscisse a far luce sulla vicenda tramite tali rilievi. C’è da riflettere però, a margine di queste dichiarazioni, su ciò che in fin dei conti già sappiamo tutti, ma su cui non c’è una adeguata coscienza critica: il dettaglio con cui siamo monitorati quotidianamente è davvero impressionante. C’è un controllo sociale sistematico spaventoso.
L’altro scritto è firmato da Goffredo Buccini per il Corriere della Sera. Nella parte finale del suo articolo mette in evidenza l’invasività dei media nella sfera intima delle persone toccate dalla tragedia e, forse anche per questo, incapaci di reagire di fronte alle richieste provenienti dai “giornalisti d’assalto”:
«Dai, manda un messaggio caloroso alla tua bambina», la incita una cronista tv a caccia d’emozioni. «Su, mandale un bacio», azzarda un’altra. «Non mi sembra il caso…», abbassa gli occhi Concetta, che baci alla figlia non ne ha dati granché neanche di persona, e forse per farsi perdonare, forse per riempire questi vuoti, spalanca diari e cassetti, sicché taccuini e telecamere registrano e spiattellano di Sarah persino l’emozione del primo reggiseno, i cuoricini della prima cotta, i palpiti del primo giorno da signorina: tutte le emozioni negate in quelle vite finiscono in televisione (…)
Siamo di fronte a due aspetti diversi sulla condizione della privacy nella società dell’informazione, concernenti il medesimo caso. Ma se pensiamo a Facebook, gli esempi potrebbero continuare.
Fabio Bravo
Information Society & ICT Law
In Italia sarà istitutita la banca dati sulla pedofilia e sulla pedopornografia.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha emanato, con provvedimento del 22 luglio 2010, le proprie osservazioni al Ministero per le Pari Opportunità in ordine allo studio di fattibilità della predetta banca dati, contemplata dalla legge n. 269/1998.
Per il testo integrale del provvedimento è possibile seguire questo link, che rimanda direttamente sul sito del Garante per la privacy.
Di seguito riporto invece il contenuto riassuntivo del provvedimento, esposto dal Garante nella newsletter del 10 settembre 2010.
Fabio Bravo
Information Society & ICT Law
Su richiesta del Ministro per le pari opportunità il Garante per la privacy ha fornito le proprie osservazioni su uno studio di fattibilità per la creazione della banca dati per il monitoraggio del fenomeno della pedofilia e della pedopornografia, prevista dalla legge n.269 del 1998. L’Autorità ha dato, in particolare, indicazioni affinché vengano potenziate le misure a protezione dei dati, con speciale riguardo all’anonimato dei minori vittime di questi gravi reati.
Lo studio – predisposto dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza e realizzato con il coordinamento dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile – illustra le caratteristiche e il contenuto della banca dati nella quale confluiranno tutte le informazioni (tipi di reato, numero di persone coinvolte, aree geografiche, etc), presenti negli archivi della pubblica amministrazione, necessari per monitorare il fenomeno dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori e della pornografia minorile. Il nuovo database potrà acquisire, ad esempio, i dati conservati nei registri informatizzati del Ministero della giustizia (Re.Ge. e Sigma) e del Centro elaborazione dati interforze del Ministero dell’interno (Sdi).
Con un provvedimento di cui è stato relatore Mauro Paissan, il Garante ha riconosciuto l’importante funzione conoscitiva del progetto e ha nel contempo sottolineato come tale finalità debba essere perseguita tutelando con la massima attenzione la riservatezza e la dignità della vittima, che in quanto minore ha peraltro diritto ad una tutela rafforzata. L’Autorità ha chiesto in particolare che nella banca dati non confluiscano dati che consentano di rendere identificabili, anche indirettamente, i soggetti coinvolti, e che vengano comunque previste modalità di anonimizzazione dei dati mediante l’uso di appositi codici. Dovranno essere raccolti solamente dati pertinenti e indispensabili rispetto alle finalità che si intendono perseguire.
Il Garante evidenzia inoltre l’esigenza che la trasmissione delle informazioni tra le varie banche dati avvenga adottando sistemi di cifratura. Nel caso in cui tale trasferimento avvenga su supporto fisico, ad esempio su dvd, anche i dati in esso contenuti dovranno essere criptati e opportunamente certificati con firma digitale. L’Autorità richiama infine la necessità di garantire un’adeguata tutela dei dati personali anche nelle fasi successive del progetto, in particolare quando verranno stipulati accordi fra il Ministero per le pari opportunità e le amministrazioni che dovranno alimentare la banca dati sulla pedofilia.
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