In Italia il giornalismo investigativo è sempre stato considerato come un’eccezione o una rarità, tra cui spicca “Report”. Quell’essere watchdog, tipico del giornalismo di lingua inglese, è connaturato all’esperienza democratica di un Paese.
Il giornalismo d’inchiesta individua temi di interesse pubblico e li sottopone all’opinione pubblica anche (e soprattutto) là dove l’opinione pubblica era sopita o non aveva gli adeguati strumenti di conoscenza per accorgersene.
Così, con il giornaismo investigativo e con le sue inchieste, si forma quella coscienza collettiva che è la necessaria premessa per poter esprimere il consenso sociale e politico.
E’ per questo che al giornalismo d’inchiesta va accordato un grande risalto. Deve essere strumento quotidiano di conoscenza e di confronto per i cittadini, affinché possano esercitare appieno la sovranità popolare contemplata nella nostra Carta Costituzionale.
Il giornalismo investigativo, insomma, è strumento di democrazia a servizio dei cittadini, affinché riscoprano la verità dei fatti di rilevanza pubblica, nascosti dietro l’apparenza, la propaganda o l’informazione addomesticata.
Per questo sono felice dell’iniziativa di Repubblica e dell’Espresso, che, sulla scia di quanto realizzato da ProPublica (premio Pulitzer per il giornalismo investigativo), hanno dedicato un apposito sito al giornalismo d’inchiesta (Le Inchieste), nel quale non ci si limita solamente a pubblicare le inchieste, ma, significativamente, viene chiesto ai cittadini di segnalare e proporre un’inchiesta e di collaborare all’avvio della sua realizzazione.
Segnalo Journalists Memorial, un’interessante iniziativa di YouTube, Google e Newseum sui giornalisti, vittime nel compimento del proprio lavoro.
Per una descizione in italiano rimando all’articolo di Francesco Tortora per il Corriere della Sera.
AgoraVox riporta un’interessante intervista di Francesco Piccinini a Julian Assange, fondatore di Wikileaks (parte 1, parte 2).
Ecco un passaggio interessante dell’intervista:
Perché ha iniziato il progetto Wikileaks?
“La mia storia viene da lontano. Non è che un giorno mi sono svegliato e ho fatto WIkileaks. Avevo iniziato in Australia con altre pubblicazioni insieme ad altre persone, poi un po’ di notorietà con i documenti contro Scientology e nel 1994 in Australia, con un nickname ho fatto alcune operazione di hacking… Ho scritto vari programmi di elaborazione di immagini, e ho iniziato a interessarmi alla matematica, alla fisica e alla meccanica, anche perché per capire le tecnologie bisogna essere capaci di guardare in molte direzioni.
Cosa ti ha spinto ad andare verso il campo dell’informazione?
“Ho iniziato perché troppo spesso i giornalisti hanno rinunciato al loro ruolo di guidare il dibattito pubblico, sollevare delle tematiche, diventando semplicemente delle persone che lo seguono, piuttosto che guidarlo. Quello che abbiamo fatto noi di Wikileaks è, probabilmente, una cosa che nessun altro avrebbe mai fatto. I giornalisti non capiscono che hanno un potere che pochi possiedono: poter guidare il dibattito pubblico”.
Ancora:
Come decidi il timing della pubblicazione dei cables?
Abbiamo dovuto tutelarci da tutti questi problemi politici, potevamo essere incolpati della morte delle persone e quindi questa cosa sarebbe stata usata in maniera molto aggressiva contro di noi dicendo appunto che eravamo responsabili di aver messo le nostre fonti (usa il plurale, ndr) o le persone citate nei cables in pericolo. Ma è quasi solamente politica. Nonostante le persone ruotino molto nelle sedi diplomatiche, se a qualcuno dovesse succedere qualsiasi cosa, saremo subito accusati. E quindi abbiamo deciso di controllare tutto ciò prima di pubblicare direttamente sul sito i cables. E anche se una persona fosse uccisa per una ragione per la quale noi non siamo assolutamente colpevoli, verremo accusati in ogni caso. Ed è per questo che abbiamo rallentato la pubblicazione dei cables. Il rischio che qualcuno possa perdere la vita in relazione alla pubblicazione di questi file c’è. Un giorno non saremo gli unici proprietari di questi dati, ma fino a quel giorno dobbiamo essere cauti nella diffusione di quanto in nostro possesso”.
(…)
Qual è la cosa che più spesso ti rimproverano?“E’ quella di lavorare contro qualcuno, ma noi non siamo contro nessuno. Se ci arriva qualcosa contro i talebani, pubblichiamo contro i talebani, se arriva qualcosa contro gli americani pubblichiamo contro gli americani. L’unica cosa di cui ci preoccupiamo è l’autorevolezza della fonte. In questo caso, trattandosi di documenti ufficiali, l’autorevolezza è insita”.
L’Antitrust italiana (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) si è pronunciata sul caso relativo al servizio Google News, sollevato dall’editoria giornalistica italiana.
L’istruttoria, oltre a risolvere il caso specifico, di particolare importanza per la gestione dei contenuti su Internet e per l’organizzazione dell’offerta di fornitura dei servizi nella società dell’informazione, ha un esito che coinvolge anche, de jure condendo, la materia del diritto d’autore, chiamato ad adeguarsi alle innovazioni tecnologiche.
L’antitrust individua infatti la necessità di tale adeguamento normativo e lo illustra con una specifica segnalazione al Presidente della Camera, del Senato, del Consiglio di Ministri, nonché al Ministro dello Sviluppo Economico ed al Dipartimeno Politiche Comunitarie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Ecco i documenti rilevanti sul caso in questione:
1) la Segnalazione dell’Authority (AS 787), del 17 gennaio 2011, di stimolo per il legislatore italiano sulla “Tutela dei contenuti editoriali su Internet”;
2) il Provvedimento dell’Authority con cui risolve il caso Google News Italia (A 420), Adunanza del 22 dicembre 2010;
3) gli Impegni vincolanti proposti da Google per adeguare i servizi alle prescrizioni normative a tutela del mercato e della concorrenza;
4) il Comunicato Stampa dell’Authority sul caso in questione.
…
L’interessante sentenza n. 35511 del 16 luglio 2010 (su Computer Law il testo integrale) interviene in materia di responsabilità del direttore di una testata telematica, escludendo l’applicazione dell’art. 57 del codice penale (rubricato “Reati commessi col mezzo della stampa periodica”) nel caso in cui la rivista o il periodico siano solamente in versione telematica e non anche in versione cartacea.
Dalla sentenza 35511/2010 si leggono questi elementi sulla fattispecie:
XXXX era direttore del periodico telematico WWWW, sul quale risultava pubblicata una lettera ritenuta diffamatoria nei confronti del Ministro della Giustizia (YYYY) e del suo “consulente per l’edilizia penitenziario” (ZZZZ).
In secondo grado la Corte di Appello aveva declamato la prescrizione del reato, con salvezza delle statuizioni civili, di ordine risarcitorio, in favore delle parti civili costituite (il Ministro della Giustizia ed il suo consulente):
La Corte di appello di Milano, con sentenza 25.9.2009, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione a carico di XXXX, imputato del reato di cui all’art. 57 cp; ha confermato le statuizioni civili in favore delle costituite parti civili, YYYY e ZZZZ.
Ecco come la sentenza n. 35511 del 2010 della Corte di Cassazione giunge ad affermare che il fatto non è previsto dalla legge come reato. Di seguito riporto i passaggi più significativi delle motivazioni esposte nella sentenza:
***
a) i riferimenti normativi (la norma incriminatrice)
(…) L’art. 57 cp punisce, come è noto, il direttore del giornale che colposamente non impedisca che, tramite la pubblicazione sul predetto mezzo di informazione, siano commessi reati.
Il codice, per altro, tra i mezzi di informazione, distingue la stampa rispetto a tutti gli altri mezzi di pubblicità (art. 595 comma III cp.) e l’art. 57 si riferisce specificamente alla informazione diffusa tramite lo “carta stampata”.
La lettera della legge è inequivoca e a tale conclusione porta anche l’interpretazione “storica” della norma (…)
b) i richiami dottrinali e di giurisprudenziali sul concetto di “stampa”
In dottrina e in giurisprudenza si è comunque discusso circa la estensibilità del concetto di stampa, appunto agli altri mezzi di comunicazione. E così una risalente pronunzia (ASN 198900259-RV 180713) ha escluso che fosse assimilabile al concetto di stampato lo videocassetta preregistrata, in quanto essa viene riprodotta con mezzi diversi da quelli meccanici e fisico-chimici richiamati dall’art. 1 della legge 47/48.
D’altra parte, è noto che la giurisprudenza ha concordemente negato (ad eccezione della sentenza n. 12960 della Sez. feriale, p.u. 31.8.2000, dep. 12.12.2000, ric. Cavallino, non massimata) che al direttore della testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all’art. 57 cp (cfr, ad es. ASN 200834717-RV 240687; ASN 199601291-RV 205281), stante lo diversità strutturale tra i due differenti mezzi di comunicazione (fa stampa, da un lato, lo radiotelevisione dall’altro) e lo vigenza nel diritto penale del principio di tassatività.
c) la non “assimilabilità di internet (rectius del suo “prodotto”) al concetto di stampato”
Analogo discorso, a parere di questo Collegio, deve esser fatto per quel che riguarda lo assimilabilità di internet (rectius del suo “prodotto”) al concetto di stampato.
L’orientamento prevalente in dottrina è stato negativo, atteso che, perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (appunto ai sensi del ricordato art. 1 della legge 47/48), occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium non realizza:
a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius),
b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius).
Il fatto che il messaggio internet (e dunque anche la pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualità, sia oggettiva, che soggettiva.
Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono “stampabili”: sì pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realtà, è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa lo “schermata”.
E se è pur vero che la “stampa” – normativamente intesa – ha certamente a oggetto, come si é premesso, messaggi destinati alla pubblicazione, è altrettanto vero che deve trattarsi – e anche questo si è anticipato – di comunicazioni che abbiano veste di riproduzione tipografica.
Se pur, dunque, le comunicazioni telematiche sono, a volte, stampabili, esse certamente non riproducono stampati (è in realtà la stampa che – eventualmente – riproduce la comunicazione, ma non la incorpora, così come una registrazione “domestica” di un film trasmesso dalla TV, riproduce – ad uso del fruitore – un messaggio, quello cinematografico appunto, già diretto “al pubblico” e del quale, attraverso lo duplicazione, in qualche modo il fruitore stesso si appropria, oggettivizzandolo).
d) eterogeneità della telematica rispetto ad altri media
Bisogna pertanto riconoscere lo assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media, sinora conosciuti e, per quel che qui interessa, rispetto alla stampa.
D’altronde, non si può non sottolineare che differenti sono le modalità tecniche di trasmissione del messaggio a seconda del mezzo utilizzato: consegna materiale dello stampato e sua lettura da parte del destinatario, in un caso (stampa), irradiazione nell’etere e percezione da parte di chi si sintonizza, nell’altro (radio e TV), infine, trasmissione telematica tramite un ISP (internet server provider), con utilizzo di rete telefonica nel caso di internet.
d) il confronto con la responsabilità dei Providers ai sensi della disciplina sul commercio elettronico (d.lgs. 70/2003)
Ad abundantiam si può ricordare che l’art. 14 D. Lsvo 9.4.2003 n. 70 chiarisce che non sono responsabili dei reati commessi in rete gli access provider, i service provider e – a fortiori – gli hosting provider (cfr. in proposito ASN 200806046-RV 242960), a meno che non fossero al corrente del contenuto criminoso del messaggio diramato (ma, in tal caso, come è ovvio, essi devono rispondere a titolo di concorso nel reato doloso e non certo ex art 57 cp).
e) esclusione della responsabilità per coordinatori di blog e forum a cui la sentenza assimila il direttore del giornale diffuso sul web
Qualsiasi tipo di coinvolgimento poi va escluso (tranne, ovviamente, anche in questo caso, per l’ipotesi di concorso) per i coordinatori dei blog e dei forum.
Non diversa è la figura del direttore del giornale diffuso sul web.
f) astratta configurazione di responsabilità del direttore del giornale telematico ove d’accordo con l’autore della lettera, per concorso in diffamazione, non per omesso controllo ex art. 57 c.cp. – Riferimento all’anonimato
Peraltro, anche nel caso oggi in esame, sarebbe, invero, ipotizzabile, in astratto, la responsabilità del direttore del giornale telematico, se fosse stato d’accordo con l’autore della lettera (lo stesso discorso varrebbe per un articolo giornalistico).
A maggior ragione, poi, se lo scritto fosse risultato anonimo.
Ma – è del tutto evidente – in tal caso il direttore avrebbe dovuto rispondere del delitto di diffamazione (eventualmente in concorso) e non certo di quello di omesso controllo ex art 57 cp, che come premesso, non è realizzabile da chi non sia direttore di un giornale cartaceo.
Al XXXX, tuttavia, è stato contestato il delitto colposo ex art 57 cp e non quello doloso ex art 595 cp.
g) il ruolo dell’interattività (web 2.0) sul piano pratico e giuridico. Non esigibilità del controllo
Sul piano pratico, poi, non va trascurato che la c.d. interattività (la possibilità di interferire sui testi che si leggono e si utilizzano) renderebbe, probabilmente, vano -o comunque estremamente gravoso- il compito di controllo del direttore di un giornale on line.Dunque, accanto all’argomento di tipo sistematico (non assimilabilità normativamente determinata del giornale telematica a quello stampato e inapplicabilità nel settore penale del procedimento analogico in malam partem), andrebbe considerata anche la problematica esigibilità della ipotetica condotta di controllo del direttore (con quel che potrebbe significare sul piano della effettiva individuazione di profili di colpa).
h) la voluntas legis
Da ultimo, va considerata anche la implicita voluntas legis, atteso che, da un lato, risultano pendenti diverse ipotesi di estensione della responsabilità ex art 57 cp al direttore del giornale telematico (il che costituisce ulteriore riprova che – ad oggi – tale responsabilità non esiste), dall’altro, va pur rilevato che il legislatore, come ricordato dal ricorrente, è effettivamente intervenuto, negli ultimi anni, sulla materia senza minimamente innovare sul punto.
i) la legge n. 62/2001 sull’estensione del concetto di prodotto editoriale ai giornali telematici
Invero, né con la legge 7 marzo 2001 n. 62, né con il già menzionato D.Lvo del 2003, è stata effettuata la estensione della operatività dell’art. 57 cp dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria (come ha chiarito il successivo D. Lvo).
l) conclusioni
Allo stato, dunque, “il sistema” non prevede lo punibilità ai sensi dell’art 57 cp (o di un analogo meccanismo incriminatorio) del direttore di un giornale on line.
Quindi
(…) deve concludersi che lo sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Mi occuperò anche in seguito di questa sentenza, con altri post.
Fabio Bravo
Information Society & ICT Law
Il 2 agosto 1980 si consumava il dramma della strage di Bologna.
L’Associazione dei familliari delle vittime reclama solidarietà e giustizia, ancora oggi. “Solidarietà” è la prima parola declinata sul loro sito Internet. La ricerca della giustizia, invece, è il concetto, espresso nello statuto dell’associazione, che fa da apertura alle pagine dedicate alla memoria della strage.
Da diversi giorni il governo ha annunciato che alla giornata commemorativa di quel dramma non presenzierà personalmente alcun Ministro.
La notizia mi ha colpito e rattristato.
Ecco le parole del Presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi, sull’assenza del Governo:
“Non so capacitarmi. Sono sconcertato, questo è un Governo in fuga: invece di darci le risposte attese ha fatto prima, non viene per niente. Spero, onestamente, che il nostro sconcerto sia quello di tutta Italia, perché è la prima volta in trent’anni che accade una cosa del genere. Anche da Borsellino non c’era nessuno, non vorrei che fosse una nuova strategia governativa quella di evitare i momenti delicati”.
Le motivazioni sembrano legate alla circostanza che i rappresentanti del Governo siano sempre stati sonoramente fischiati.
Da quest’anno (ma è il trentennale) la scelta di preservare l’immagine personale e politica, evitando che mediaticamente sia accostata all’aperta contestazione, sembra abbia preso il sopravvento sulla necessità di ribadire il senso della presenza istituzionale seppur in una pagina difficile della nostra storia. Francamente non mi sembra una scelta condivisibile.
La presenza istituzionale, purtroppo oggi negata, ha comunque un valore forte. La memoria storica va conservata e preservata. Va letta ed analizzata per comprendere il presente, per evitare che si ripetano errori per il futuro.
Vorrei segnalarVi, proprio sulla strage di Bologna (oltre all’incredibile lavoro portato avanti dall’associazione delle vittime) lo sforzo giornalistico, fruibile su Internet, dedicato alla strage del 2 agosto 1980, con i titolo “Io non dimentico“, curato per la Repubblica da Stefania Parmeggiani.
Nell’inchiesta-memoriale sono riportate anche le fotografie della polizia scientifica e le foto delle vittime.
Sul sito dell’associazione sono riportati anche audio e video, compreso quelli relativi agli eventi commemorativi relativi ai precedenti anniversari dalla strage.
Fabio Bravo
Information Society & ICT Law
Vi segnalo l’interessante articolo dal titolo “Il blogger è responsabile solo dei messaggi firmati da lui“, apparso sul Corriere della Sera, con il quale si è diffusa la notizia della sentenza resa dalla Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado con cui era stata affermata la responsabilità del blogger per messaggi dal contenuto diffamatorio.
La Corte di Appello avrebbe escluso la responsabilità del blogger per omesso controllo su messaggi che non siano stati firmati da quest’ultimo.
L’articolo del Corriere della Sera evidenzia che
secondo il giudice [d'appello - n.d.r.] tutti i post che non sono scritti dal gestore del blog devono essere considerati anonimi. In primo grado [il blogger, un giornalista di 63 anni - n.d.r.] era stato condannato a 3mila euro di ammenda e a 8mila euro di risarcimento.
Più precisamente, stando all’articolo citato, nella sentenza di primo grado sarebbe stato affermato che
«Colui che gestisce un blog – era scritto nelle motivazioni – altro non è che il direttore responsabile dello stesso, pur se non viene formalmente utilizzata tale forma semantica per indicare la figura del gestore e proprietario di un sito internet. Ma, evidentemente, la posizione di un direttore di una testata giornalistica stampata e quella di chi gestisce un blog (e che, infatti, può cancellare messaggi) è, mutatis mutandis, identica».
Viceversa, nel giudizio di secondo grado si sarebbe affermato che
Le responsabilità di un blogger non sono le stesse di un direttore di un giornale. Riformando la sentenza di primo grado, la terza sezione della Corte di Appello di Torino (presidente-relatore Gustavo Witzel) si è così espressa confermando solo in parte la condanna nei confronti di un blogger aostano (…). All’imputato è stata inflitta una pena pecuniaria di 1.000 euro per diffamazione relativamente a due post da lui stesso firmati.
Fabio Bravo
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